IL FALLIMENTO NON DEVE AVERE L’ULTIMA PAROLA

IL FALLIMENTO NON DEVE AVERE L’ULTIMA PAROLA

Di fronte a un fallimento, Dema e Marco rappresentano due figure antitetiche. Il primo ci suggerisce parole di avvertimento, mentre il secondo, evoca espressioni cariche di speranza. Poiché “manchiamo tutti in molte cose” (Giacomo 3:2), abbiamo bisogno di ambedue gli esempi.

Dema

Che cosa accadde a Dema? Non lo sappiamo, ma la chiave per capirlo sta nelle parole accorate di Paolo, tra le ultime pronunciate dall’apostolo prima della sua esecuzione a Roma: “Dema, avendo amato questo mondo, mi ha lasciato e se n’è andato a Tessalonica” (2 Timoteo 4:10). Forse Dema aveva timore di subire una condanna a morte e si è nascosto. Forse si era defilato, rifiutando un ruolo attivo nell’opera del Signore e finendo col soccombere alle sirene ammalianti della seduzione. O forse ancora, è stato assorbito dalla frenesia della vita urbana di Tessalonica, cosmopolita, ricca di fascino e culturalmente intrigante. Qualunque siano stati i motivi della defezione di Dema, l’apostolo Paolo l’ha intesa come una questione che aveva a che fare con l’amore per il mondo.

Marco

In questa stessa Lettera a Timoteo, soltanto poche frasi dopo le considerazioni riguardanti Dema, l’apostolo Paolo si esprime in termini che lasciano trasparire una vivida speranza: “Prendi Marco e conducilo con te; poiché mi è molto utile per il ministero” (2 Timoteo 4:11). Ricordi Marco? È stato il primo ad abbandonare Paolo. Anni addietro, durante il primo viaggio missionario, Marco lasciò Paolo e Barnaba in Panfilia e ritornò a casa, a Gerusalemme (Atti 13:13). Nemmeno in questo caso conosciamo il motivo della sua scelta.

Sappiamo che Paolo non era d’accordo. In effetti, quando Barnaba voleva far ricongiungere al gruppo Marco, dopo il Concilio di Gerusalemme, Paolo si espresse senza riserve in termini assolutamente negativi, mostrando la sua ferma contrarietà (15:37-40).

Ora, verso la fine del suo percorso terreno, l’apostolo mostra piena fiducia nei confronti di Marco e definisce il suo impegno “molto utile” per la causa dell’Evangelo.

Una parola di avvertimento

Dema è un segnale d’allarme per noi tutti. Ha iniziato bene il suo cammino di fede. Quattro o cinque anni prima, in occasione di una precedente prigionia, Paolo ha definito Dema un “collaboratore” nella diffusione dell’Evangelo (Colossesi 4:14; Filemone 1:24). Ci fu un tempo in cui sembrava che Dema avesse scelto, come Mosè, di “essere maltrattato con il popolo di Dio [piuttosto] che godere per breve tempo i piaceri del peccato” (Ebrei 11:25).

Ciò nonostante, l’epilogo della vita spirituale di Dema non è stato altrettanto positivo. Un tempo aveva combattuto per l’avanzamento del regno accanto a Paolo, ma poi lo aveva completamente abbandonato passando alla sponda opposta. Ecco una parola che rappresenta per tutti noi un severo monito e un costante avvertimento: “Siate sobri, vegliate; il vostro avversario, il diavolo, va attorno come un leone ruggente cercando chi possa divorare. Resistetegli stando fermi nella fede, sapendo che le medesime sofferenze affliggono i vostri fratelli sparsi per il mondo” (1 Pietro 5:8, 9). Il nostro nemico è molto concreto e assai scaltro. Minaccia e seduce, al punto che persino delle guide animate dalle migliori intenzioni, esattamente come Dema, possono cadere vittime dell’inganno. Noi dobbiamo combattere “il buon combattimento della fede” (1 Timoteo 6:12) e fare tutto il possibile per resistere (Efesini 6:13).

Una parola di speranza

Marco, dall’altro lato, rimane per noi un esempio di grande incoraggiamento. È partito piano; sembrava non possedere i tratti del vincente. Ha deluso le sue guide e i suoi amici, lasciandoli soli ad affrontare le avversità e gli impegni più gravosi, mentre lui se ne tornava a casa. Eppure, Marco ha terminato bene il suo cammino. A un certo punto si è unito alla battaglia e si è dimostrato fedele e degno di fiducia: un abile guerriero. E, se la tradizione che ci è stata tramandata è corretta, il Signore gli ha concesso il privilegio di contribuire al canone del Nuovo Testamento, di fondare una chiesa ad Alessandria, ed essere martirizzato per la causa di Cristo.

Ristabilisciti e arruolati di nuovo

Tutti noi falliamo. E per certo alcuni fallimenti determinano una serie di conseguenze piuttosto penose. Tuttavia, se dalle nostre abitudini di peccato torniamo a Cristo, non c’è sconfitta che per mezzo della croce non possa essere oggetto di redenzione. E se siamo in attesa del Signore, non c’è fallimento che Cristo non abbia la capacità di tramutare in un’occasione di servizio che si rivelerà utile per la gloria del Suo Santo nome. Gesù sceglie e usa i fallimenti.

L’apostolo Paolo lo sapeva per esperienza personale: “Io ringrazio colui che mi ha reso forte, Cristo Gesù, nostro Signore, per avermi stimato degno della sua fiducia, ponendo al suo servizio me, che prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento; ma misericordia mi è stata usata …” (1 Timoteo 1:12, 13).

Non conosciamo le ultime parole di Dema. Mi auguro che alla fine possa essersi pentito. Come ci suggerisce l’esempio di Marco, l’insuccesso non necessariamente rappresenta l’ultima parola che la vita ha in serbo per noi. Qualsiasi fallimento passato o presente possa affiorare nella tua vita, portalo ai piedi della croce e lascialo andare! Vieni, e ristabilisci il tuo cuore presso Gesù. Se ti sei allontanato dalla battaglia della fede senza essere in congedo, arruolati nuovamente e affronta ancora una volta il combattimento.

Non è mai troppo tardi. Dimentica il passato e concentrati sul futuro (Filippesi 3:12). Proponiti ancora di seguire Gesù, il tuo autentico tesoro. Potrai vedere con i tuoi occhi come Egli redime i tuoi peggiori fallimenti e ti rende adatto al Suo servizio.


Questo testo è un estratto di Realtà Che Non Si Vedono di Jon Bloom, storie di uomini e donne che hanno realizzato le promesse di Dio, pubblicato da ADI-Media.

Copyright © 2017 Chiese Cristiane Evangeliche “Assemblee di Dio in Italia”

VEDREMO GESÙ

VEDREMO GESÙ

David Wilkerson (1931-2011)
March 12, 2019

Il Paradiso! La promessa del paradiso è il centro del vangelo, ma oggi non sentiamo parlare molto di questo soggetto. Infatti, la Bibbia non dice molto di com’è il paradiso. Gesù non si sedette con i discepoli e spiegò la gloria e la maestà del paradiso. Egli disse al ladrone sulla croce: “Oggi tu sarai con me in paradiso” ma non lo descrisse (Luca 23:43).

In 2 Corinzi 12:1-6, l’apostolo Paolo si riferisce al paradiso quando parla si esser stato rapito in cielo. Egli dice di aver visto e udito cose così impressionanti per la sua mente da non riuscire a dire nulla per descriverlo. Sebbene fosse grato per la sua vita e la sua chiamata, durante tutti i suoi anni di ministero il suo continuo desiderio era quello di andare a casa ed essere con il Signore. Egli parlò molto del suo desiderio del paradiso quando scrisse: “Ma siamo fiduciosi e abbiamo molto più caro di partire dal corpo e andare ad abitare con il Signore” (2 Corinzi 5:8).

Sappiamo che il trono di Dio è in cielo e Gesù è lì con una moltitudine innumerevole di angeli. Paolo dice che una volta che saremo lì, vedremo Gesù “faccia a faccia” (1 Corinzi 13:12). Avremo un immediato accesso personale alla presenza del Signore per tutta l’eternità e solo questo dovrebbe far gioire i nostri cuori. Gesù è andato a preparare una casa per noi dove vivremo con lui per sempre (leggere Giovanni 14:3).

Non ci rilasseremo e “andremo in chiesa” tutto il tempo in cielo. La Bibbia ci dice che regneremo con il Signore come “re e sacerdoti per il nostro Dio” (Apocalisse 5:10). Ci verranno anche dati dei compiti meravigliosi in questo nuovo mondo e saremo suoi servi (leggere Apocalisse 22:3). Non ci saranno lacrime in cielo: “E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi” (21:4). Nessun dolore, sofferenza, né morte né paura.

Amato, fa’ che il paradiso sia il tuo desiderio più importante. Gesù sta tornando per coloro che bramano essere lì con lui!

IL PREZZO DELL’AUTORITÀ SPIRITUALE

IL PREZZO DELL’AUTORITÀ SPIRITUALE

David Wilkerson (1931-2011)
February 22, 2019

Per diventare dei servi che possiedono l’autorità di Dio c’è bisogno di camminare coscientemente faccia a faccia sotto lo sguardo del Padre nostro. Quando siamo davanti al Signore, egli ci porta a piegare le ginocchia in umiltà davanti alla sua santa presenza.

L’apostolo Paolo descrive il tipo di servo a cui viene donata questa autorità: “Anzi abbiamo rinunziato ai sotterfugi della vergogna, non camminando con astuzia, né falsificando la parola di Dio” (2 Corinzi 4:2).

Questo servo è stato in intima comunione con Gesù ed ha aperto il suo cuore allo Spirito Santo. Secondo Paolo, la preghiera costante di questo servo è: “Signore, mostrami i miei peccati, le mie ambizioni poco sante, ogni cosa disonesta ed ogni manipolazione, ogni attitudine ingannevole del mio cuore”.

Credo che ogni credente voglia camminare nell’autorità spirituale ma è importante che sappia che c’è un prezzo da pagare per questa autorità. Una buona domanda da porci è: “Voglio davvero sedermi sul posto più basso della casa? Sono felice di stare lontano dal tavolo del comando?” È solo un semplice test, ma può rivelare alcuni problemi importanti del nostro spirito.

In Luca 14, leggiamo che Gesù fu invitato dal capo dei Farisei a: “mangiare del pane” in casa sua insieme ad altri Farisei. Il verso 7 dice che Gesù notò che sceglievano i posti migliori per via del loro orgoglio e per la necessità di essere visti e riconosciuti. Il Signore si sedette e mangiò, ma poi disse queste parole di rimprovero ai capi religiosi d’Israele: “Ma quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto affinché, venendo chi ti ha invitato, ti dica: «Amico, sali più su allora ne avrai onore davanti a coloro che sono a tavola con te»” (Luca 14:10).

Dobbiamo batterci per “andare più in alto” verso un luogo d’onore, un luogo di vera autorità spirituale. Dio ha bisogno di ognuno di noi in questi ultimi giorni e vuole portarci più vicini a lui. In un senso molto più profondo, credo che il compito di avvicinarci a Gesù sia per tutti noi. E nel farlo, Dio verserà fedelmente la sua unzione spirituale.

DUNQUE, SIATE SERI

DUNQUE, SIATE SERI

Forse non ci vuoi pensare o accettarlo, ma se sei determinato a seguire Gesù con tutto il tuo cuore, Satana ha già decretato la tua distruzione. Egli investirà la tua vita con un’ondata di problemi di ogni tipo.

L’apostolo Pietro avverte: “La fine di tutte le cose è vicina; siate dunque moderati e sobri per dedicarvi alla preghiera” (1 Pietro 4:7). In altre parole: “Non è più tempo di essere superficiali. Dovete avere una mente sobria per le cose spirituali perché ora è questione di vita o di morte”.

Perché bisogna essere così seri? Perché la fine dei tempi è vicina ed il nostro nemico ha alzato la temperatura. Ci sta girando intorno come un leone, nascondendosi fra l’erba, in attesa di un’opportunità per avventarsi su di noi. Egli ci vuole divorare, distruggere completamente la nostra fede in Cristo.

Alcuni cristiani dicono che non dovremmo affatto parlare del diavolo, che sarebbe meglio se lo ignorassimo. Altri scacciano via l’idea della sua completa esistenza. I teologi liberali, per esempio, asseriscono che il diavolo non esista, e che non esista né inferno né paradiso.

Ma il nemico delle nostre anime è reale! Poche figure bibliche sono state identificate così chiaramente e largamente e non ha affatto intenzione di andare via. Viene descritto come Lucifero, Satana, diavolo, ingannatore, l’avversario, il malvagio, usurpatore, impostore, accusatore, divoratore, principe di questo mondo, re dell’oscurità, serpente antico.

Queste descrizioni enfatiche mi dicono che il diavolo esiste e sappiamo dalle Scritture che ha un potere reale. Anche adesso è all’opera sulla terra, sulle nostre nazioni, città, chiese, case e vite individuali. E non dobbiamo essere ignoranti sui suoi metodi e strategie di guerra.

“Siate sobri, vegliate; il vostro avversario, il diavolo, va attorno come un leone ruggente cercando chi possa divorare. Resistetegli stando fermi nella fede, sapendo che le medesime sofferenze affliggono i vostri fratelli sparsi per il mondo” (1 Pietro 5:8-9). by David Wilkerson

COLPA DEI SENSI O SENSI DI COLPA?

COLPA DEI SENSI O SENSI DI COLPA?

Nonostante ci si limiti a citare solo i primi cinque sensi umani quali vista, udito, olfatto, gusto e tatto quelli detti canonici sono almeno nove e quindi occorre aggiungere quelli di termopercezione, dolore, propriocezione e equilibrio. Anche altri organi di senso sono vivi nel corpo umano, però sono valutati meno importanti rispetto a quelli riportati.

Spesso religioni che si qualificano cristiane hanno definito trasgressione qualcosa per colpa dei sensi, alterazioni che il peccato ha prodotto. 

Colpa dei sensi o sensi di colpa introduce il tema della genesi del peccato. Tutto iniziò con Adamo ed Eva: “La donna osservò che l’albero era buono per nutrirsi, che era bello da vedere e che l’albero era desiderabile per acquistare conoscenza; prese del frutto, ne mangiò e ne diede anche a suo marito” (Libro della Genesi, capitolo 3). Dopo lo sbaglo, la colpa dei sensi fu evidente nella reazione: “… Dio disse: «Chi ti ha mostrato che eri nudo? Hai forse mangiato del frutto dell’albero, che ti avevo comandato di non mangiare?”. 

Anche Acan, trasgredendo all’interdetto stabilito da Giosuè nella conquista di Gerico, lo fece per colpa dei sensi: “… Ho peccato contro il Signore… Ho visto fra le spoglie un bel mantello…, duecento sicli d’argento e una sbarra d’oro del peso di cinquanta sicli; ho desiderato quelle cose e le ho prese; ecco, sono nascoste in terra in mezzo alla mia tenda; e l’argento è sotto” (Libro di Giosuè cap. 7). L’apostolo insegnò: “Perché tutto ciò che è nel mondo, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita, non viene dal Padre, ma dal mondo” (Prima Lettera di Giovanni 2:16). 

I sensi di colpa per Friedrich Nietzsche sarebbero da evitare; il filosofo tedesco definì così la colpa: “La più tremenda malattia che sia infuriata sino a oggi nell’uomo”. Evitare di proposito i sensi di colpa ha giustificato convinzioni razziste e violente e prodotto sanguinose guerre, anche mondiali. Altri ricercatori concludono, diversamente, che i sensi di colpa non sono tutti sbagliati e in alcune circostanze possono essere utili: “È uno degli strumenti della coscienza”, “È parte essenziale di ogni persona sensibile e responsabile”, affermano.

Colpa dei sensi o sensi di colpa è soggetto che introduce l’insegnamento che i secondi possono essere utili, vantaggiosi per evitare azioni sgradevoli. Il dolore emotivo avverte di un problema spirituale o morale, proprio come quello fisico segnala un possibile problema di salute. Una volta consapevoli della debolezza si sta più attenti. Gesù spiegò: “Tutte le cose dunque che voi volete che gli uomini vi facciano, fatele anche voi a loro; perché questa è la legge e i profeti…” (Vangelo di Matteo 7:12).

I sensi di colpa possono spingere alla confessione dell’errore che può essere utile a colpevole e vittima. La colpa del re Davide fu accompagnata da un anno di intensa agonia a livello emotivo: “Finché ho taciuto, le mie ossa si consumavano tra i lamenti che facevano tutto il giorno…” (Salmo 32:3). Quando il profeta Natan lo aiutò a confessare, Davide fu lieto di cantare: “… Tu mi circonderai di canti di liberazione” (verso 7). Confessare può far stare meglio anche la vittima come accadde con Bat-Seba, che “Poi Davide consolò”. 

I sensi di colpa hanno la capacità di indicare che si è consapevoli dell’esistenza di norme accettabili e che la coscienza è attiva: “Essi dimostrano che quanto la legge comanda è scritto nei loro cuori, perché la loro coscienza ne rende testimonianza e i loro pensieri si accusano o anche si scusano a vicenda” (Lettera ai Romani 2:15). 

Per certa psichiatria l’assenza di sensi di colpa può portare a comportamenti nocivi socialmente. Secondo la Bibbia si farà fatica a distinguere bene e male: “Tutto è puro per quelli che sono puri; ma per i contaminati e gli increduli niente è puro; anzi, sia la loro mente sia la loro coscienza sono impure” (Tito 1:15).

Colpa dei sensi o sensi di colpa è tema che lascia intravedere la possibilità di sentirsi colpevoli senza esserlo veramente. 

Se si è perfezionisti, si ha la tendenza a imporsi precetti e norme irrazionali e ogni insuccesso può poi determinare uno sbagliato senso di colpa: “Non essere troppo giusto, e non farti troppo saggio: perché vorresti rovinarti?”, scrisse Salomone (Ecclesiaste 7:16). Si potrebbe lasciare che il giusto rimorso degeneri in vergogna che porti a infliggersi inutili punizioni. 

Il pericolo del “legalismo religioso” è sempre attuale, come è accaduto ai Farisei del tempo di Gesù. Desiderosi di elaborare un quadro preciso che permettesse l’esatta osservanza della Torà (Legge), nel primo secolo risulta che abbiano moltiplicato i precetti in due gruppi: quelli negativi con 248 regole e quelli positivi con 365 proibizioni. Uno ogni giorno; impossibile da sopportare e contrario al dono della libertà cristiana.

Colpa dei sensi o sensi di colpa è quesito che deve far avere un punto di vista equilibrato della colpa. Si noti il forte contrasto fra il modo di considerare peccatori e peccato da parte di Gesù e dei farisei del tempo. La donna peccatrice, che entrò in casa di un fariseo dove Gesù mangiava, lavò i piedi con le lacrime e glieli profumò con olio costoso suscitando dubbi su Gesù-Profeta: “…Costui, se fosse profeta, saprebbe che donna è questa che lo tocca; perché è una peccatrice” (Vangelo di Luca 7:39). Il Maestro corresse subito: “Tu non mi hai versato l’olio sul capo; ma lei mi ha cosparso di profumo i piedi”. Perciò, io ti dico: i suoi molti peccati le sono perdonati, perché ha molto amato; ma colui a cui poco è perdonato, poco ama”. Il Signore non stava abbuonando l’immoralità, solo insegnando che il motivo più importante per servire Dio è l’amore, come disse in diversa occasione: “Maestro, qual è, nella legge, il gran comandamento? Gesù gli disse: “Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”.Questo è il grande e il primo comandamento. Il secondo, simile a questo, è: “Ama il tuo prossimo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la legge e i profeti”. Era giusto che la peccatrice si sentisse in colpa per il passato amorale e il pentimento manifestato dal pianto dimostra che non cercò giustificazioni. Gesù le disse: “La tua fede ti ha salvata; va’ in pace”.

I migliori risultati si ottengono imitando il Signore e dando il buon esempio: “Quanto all’amore fraterno, siate pieni di affetto gli uni per gli altri. Quanto all’onore, fate a gara nel rendervelo reciprocamente”. Se si è fatto il male, sentirsi in colpa può essere utile e addirittura necessario: “Gli insensati si burlano del peccato…” (Proverbi 14:9). I sensi di colpa devono indurre a confessare e manifestare ravvedimento, ma il motivo fondamentale per cui si serve Dio è l’amore. 

Colpa dei sensi o sensi di colpa pone la questione che ci si sente in colpa quando si diventa consapevoli di aver ferito qualcuno cui si vuole bene. È legato al sentirsi in debito per colpa, offesa, reato, peccato o mancanza.

Nell’Antico Testamento la colpa era connessa all’incapacità dei credenti ebrei di ottemperare alla Legge di Dio e il termine è quasi assente nel Nuovo. Metà dei riferimenti alla colpa si trova in Levitico e Numeri e sono in relazione ai sacrifici e offerte per la colpa: “… Porterà al Signore il sacrificio per la colpa, per il peccato che ha commesso. Porterà una femmina del gregge, una pecora o una capra, come sacrificio espiatorio e il sacerdote farà per lui l’espiazione del suo peccato” (Libro do Levitico 5:6). 

Gesù parlò della colpa in relazione all’adempimento della Sua missione non accettata: “Se non fossi venuto e non avessi parlato loro, non avrebbero colpa; ma ora non hanno scusa per il loro peccato”, “Se non avessi fatto tra di loro le opere che nessun altro ha mai fatte, non avrebbero colpa; ma ora le hanno viste, e hanno odiato me e il Padre mio”. 

Colpa dei sensi o sensi di colpa trova risposta esaustiva, completa, nel Signor Gesù: “Infatti Dio era in Cristo nel riconciliare con sé il mondo, non imputando agli uomini le loro colpe, e ha messo in noi la parola della riconciliazione” (2 Corinzi 5:19). by Davide Di Iorio. Chiese Cristiane Evangeliche Assemblee di Dio in Italia